Luca 14:25-33

Cristiani senza “mezze misure”

Sintesi: In un'epoca che vive all'insegna della “tolleranza” è difficile parlare di che cosa significhi essere “un vero cristiano”, perché ciascuno pretende di esserlo a modo suo e che il suo modo di essere cristiano sia perfettamente legittimo. A dir di molti, oggi, “una fede vale l'altra” e nessuno avrebbe il diritto di “imporre sugli altri il proprio modo di credere”. Il testo biblico scelto per la nostra riflessione di quest'oggi indubbiamente ci mette tutti in crisi perché qui il Signore Gesù ci chiama a verificare la sostanza della nostra adesione a Lui in quanto cristiani. I termini che Egli usa sono molto radicali, tanto da mettere in seria questione il cristianesimo della maggior parte di noi che lo professiamo. Leggeremo e commenteremo, cosi, quanto troviamo nel vangelo secondo Luca, al capitolo 14 dal versetto 25 al 33.

Non possiamo “giudicare”?

In un'epoca che vive all'insegna della “tolleranza” è difficile parlare di che cosa significhi essere “un vero cristiano”, perché ciascuno pretende di esserlo a modo suo e che il suo modo di essere cristiano sia perfettamente legittimo. Quanti si indignano oggi e reagiscono scandalizzati, quando odono o leggono i discorsi di coloro che “si permettono di giudicare” la loro o l'altrui fede, mettendola in questione o proponendo criteri per verificarne l'autenticità!

A dir di molti, oggi, “una fede vale l'altra” e nessuno avrebbe il diritto di “imporre sugli altri il proprio modo di credere”. Per giustificare questo loro dire, spesso adducono, astraendole dal loro contesto, le esortazioni evangeliche a “non giudicare”. Il fatto sta, però, che la Bibbia, in particolare lo stesso Signore Gesù Cristo, stabilisce inequivocabilmente dei precisi criteri su che cosa sia la vera fede cristiana, in contrapposizione a modi non genuini, non validi, non accettabili.

Forse è anche per questo che oggi molti non comprendono, o respingono decisamente, le istanze del Protestantesimo classico, che promuovono la riforma della fede di singoli e di chiese quando la sua forma e i suoi contenuti non corrispondono a quanto autorevolmente stabilito da Dio nella Sua Parola scritta, la Bibbia. Chi oggi sostiene il Protestantesimo classico, infatti, continua ad affermare che la Bibbia, in quanto Parola di Dio, letta ed interpretata in modo rigoroso, con fede ed ubbidienza, debba essere l'unica regola secondo la quale la fede ed il comportamento che vogliano dirsi cristiani devono conformarsi.

Le condizioni di Gesù

Il testo biblico scelto per la nostra riflessione di quest'oggi indubbiamente ci mette tutti in crisi perché qui il Signore Gesù ci chiama a verificare la sostanza della nostra adesione a Lui in quanto cristiani. La nostra adesione a Cristo è forse solo culturale (dipende dal luogo e dalle circostanze in cui siamo cresciuti)? È solo una formalità con scarsa sostanza? Forse che lla definizione “cristiano” diamo quel significato che noi stessi o la nostra società generalmente gli attribuisce o peggio, quel che ci è comodo dargli, e ignoriamo quel che Cristo stesso intende? Forse che stiamo illudendo noi stessi sull'essere cristiani perché riteniamo di averne assolti i requisiti necessari, che però non sono, di fatto, quelli che la Parola del Signore stabilisce?

Il testo di oggi qualcuno lo definirebbe “troppo radicale”. Chi altri, però, se non Gesù Cristo stesso ha diritto di stabilire chi possa essere chiamato cristiano? Leggiamo, cosi, quanto troviamo nel vangelo secondo Luca, al capitolo 14 dal versetto 25 al 33.

Il vero discepolo. "Or grandi folle andavano a lui, ed egli si rivolse loro e disse: «Se uno viene a me e non odia suo padre e sua madre, moglie e figli, fratelli e sorelle e perfino la sua propria vita, non può essere mio discepolo. E chiunque non porta la sua croce e mi segue, non può essere mio discepolo. Chi di voi infatti, volendo edificare una torre, non si siede prima a calcolarne il costo, per vedere se ha abbastanza per portarla a termine? Che talora, avendo posto il fondamento e non potendola finire, tutti coloro che la vedono non comincino a beffarsi di lui, dicendo: "Quest'uomo ha cominciato a costruire e non è stato capace di terminare". Ovvero quale re, andando a far guerra contro un altro re, non si siede prima a determinare se può con diecimila affrontare colui che gli viene contro con ventimila? Se no, mentre quello è ancora lontano, gli manda un'ambasciata per trattar la pace. Così dunque, ognuno di voi che non rinunzia a tutto ciò che ha, non può essere mio discepolo" (Luca 14:25-33).

Nell'esporre il contenuto di questo testo, potremmo suddividerlo secondo sei verbi o concetti che troviamo qui usati: andare, preferire, sopportare, costruire, combattere e rinunciare.

Andare

Il testo dice: "Or grandi folle andavano a lui, ed egli si rivolse loro...” (25). Molta gente, allora, era interessata a Gesù, “grandi folle andavano a Lui”. Egli godeva, si può dire, di grande popolarità. Questo Lo avrebbe dovuto rallegrare, di questo avrebbe dovuto esserne compiaciuto. Noi, al posto Suo, avremmo detto: “Guarda quanta gente mi segue e mi apprezza! Teniamocela buona: così tanta gente garantirà il successo del mio movimento, mi garantirà i fondi necessari per portare avanti la mia causa, sarà un 'peso di voti' che i miei avversari non potranno certo ignorare”. Eppure Gesù, rivolgendosi alla gente che Lo segue, parla di condizioni così esigenti per poterlo di fatto seguire che, ad udirle, molti se ne sarebbero sicuramente andati.

Qualcuno, allora, avrebbe potuto “consigliare” Gesù dicendogli: “Maestro, non essere così radicale ed esigente quando parli alla gente! Così te la fai scappare! È controproducente! Sii più 'morbido'! Prometti loro cose che potranno avere senza tanto sforzo ...cose facili, comode, che costino poco o nulla!”. Gesù, però, non accetta questi “consigli”. Gesù sembra non curarsi di questo tipo di “popolarità” e persiste a non applicare “le buone regole del marketing”. Il Suo discorso è “duro”. Da chi Lo vuole seguire pretende molto.

Forse è anche questo che fa innervosire il discepolo Giuda e che lo condurrà ad abbandonare e tradire Gesù. È come se Gli avesse detto: “Gesù, tu non capisci nulla. Non si fa così. Se vuoi avere successo devi usare ben altre strategie. Te l'ho detto e ridetto, ma tu, ostinato, persisti a fare come vuoi tu. Allora arrangiati! Così non combinerai mai nulla di buono. Io me ne andrò per un'altra strada!”.

Preferire

Ecco, così, che ancora oggi le seguenti espressioni di Gesù rimangono scandalose ed inaccettabili. Egli dice: “Se uno viene a me e non odia suo padre e sua madre, moglie e figli, fratelli e sorelle e perfino la sua propria vita, non può essere mio discepolo” (26). Non è forse “esagerato” quanto qui dice Gesù, e persino in contraddizione con quanto afferma altrimenti sull'amore? Bisogna certamente dire che il verbo “odiare”, nell'originale, non ha lo stesso significato che in italiano. Nel passo parallelo di Matteo 10:37 troviamo il vero significato di questo termine: “Chi ama padre o madre più di me, non è degno di me; e chi ama figlio o figlia più di me, non è degno di me”. La TILC, infatti, traduce: “Se qualcuno viene con me e non ama me più del padre e della madre, della moglie e dei figli, dei fratelli e delle sorelle, anzi, se non mi ama più di se stesso, non può essere mio discepolo”. Allo stesso modo, quando Dio dice: «Io ho amato Giacobbe e ho odiato Esaù» (Romani 6:16), Egli intende dire che preferisce, sceglie Giacobbe. Infatti, con il verbo “odiare” Gesù intende: “amare di più”, preferire, dare la precedenza.

Per essere discepoli autentici di Gesù significa mettere Lui nella propria vita prima di ogni altra persona o cosa, prima ancora della preservazione della nostra stessa vita! Il seguire Cristo deve avere priorità, precedenza, su ogni altra cosa. Non ci deve essere nulla, alcun ostacolo, fra lui e Gesù. “Odiare” qui non vuol dire ciò che generalmente significa in italiano, ma il risultato non è meno radicale. Di fronte a simili espressioni di Gesù, un'altra volta molti avevano detto: «Questo parlare è duro; chi può ascoltarlo?» (Giovanni 6:60 NR).

Ancora oggi, in molti luoghi, seguire Gesù significa mettersi contro, per diversi motivi, la propria famiglia. Ancora oggi ci si può trovare nella situazione di sentirsi dire: “Devi fare una scelta, o me o il tuo Gesù”. Gesù qui dice: “Se vuoi essere davvero cristiano devi mettere me prima di ogni altra persona, senza compromessi!”.

“Venire a me” o “venire con me” non significa in senso fisico, ma spirituale. E' molto più che venire ad ascoltare predicare Gesù, ma credere in Lui (affidarsi completamente a Lui), ricevere la Sua grazia, perdono, giustizia, vita e salvezza, sottomettersi alla Sua volontà, imparare da Lui. Essere cristiani implica una totale consacrazione a Cristo. Non esistono due categorie di cristiani, quelli “normali” e quelli “impegnati”. Il discepolato cristiano è sempre radicale, non vi possono essere mezze misure. Gesù dice: “Chi non è con me è contro di me, e chi non raccoglie con me disperde” (Luca 11:23).

Non solo questo, ma seguire Gesù deve essere più importante della nostra stessa vita. Si racconta di una chiesa in un paese comunista che aveva avuto la visita di alcuni soldati armati durante un culto domenicale. Avevano minacciato di uccidere tutti i cristiani lì presenti, ma avevano dato l'opportunità di uscire sani e salvi dalla chiesa chiunque fra loro sarebbe stato disposto a rinnegare pubblicamente la propria fede. Così parte dei presenti rinnega Cristo ed esce dalla chiesa. Altri, però, non si muovono dai loro banchi. Allora i soldati, chiuse le porte ed assicuratisi che i primi si fossero del tutto allontanati, si girano verso quelli che erano rimasti seduti e dicono loro: "Anche noi siamo cristiani. Siamo venuti per partecipare al culto, ma prima volevamo solo liberarci degli ipocriti". Per Gesù essere cristiani significa essere pronti a rinunciare persino alla propria vita, oltre al proprio comodo!

Sopportare

Seguire Gesù, però, significa anche: “portare la sua croce”, sopportarne tutte le eventuali conseguenze negative. “E chiunque non porta la sua croce e mi segue, non può essere mio discepolo” (27).

I discepoli di Gesù devono essere disposti a portare ciò che era allora poteva essere una conseguenza molto pesante, la condanna a morte. Era come coloro che erano stati condannati alla crocifissione e che non potevano fare altro che essere sottomessi alla sentenza e in attesa della sua esecuzione. Essi dovevano pure (come sarebbe accaduto a Gesù) portare sulle loro spalle, al luogo dell'esecuzione, la trave stessa su cui sarebbero stati inchiodati. In Cina i condannati alla fucilazione devono comprarsi loro stessi le pallottole con le quali saranno uccisi come pure “il disturbo” del plotone di esecuzione.

Sebbene i discepoli di Gesù non debbano certo tutti essere crocifissi, o subire la condanna a morte, la tortura ed il carcere (come avviene ancora oggi in diversi paesi del mondo) essi portano la croce come se vi fossero destinati. Devono sopportare l'infamia di un nome spesso impopolare. I discepoli di Gesù, per seguirlo, per essere davvero “dei Suoi”, devono essere pronti a sopportare le possibili conseguenze negative della loro professione di fede, derisione e critiche, afflizioni, persecuzioni. Seguire Gesù è impegnativo.

Essi devono tenere: “lo sguardo su Gesù, colui che crea la fede e la rende perfetta. Per la gioia che gli era posta dinanzi egli sopportò la croce, disprezzando l'infamia, e si è seduto alla destra del trono di Dio” (Ebrei 12:2 NR). L'apostolo Pietro scrive: “Perché è una grazia se qualcuno sopporta, per motivo di coscienza dinanzi a Dio, sofferenze che si subiscono ingiustamente. Infatti, che vanto c'è se voi sopportate pazientemente quando siete malmenati per le vostre mancanze? Ma se soffrite perché avete agito bene, e lo sopportate pazientemente, questa è una grazia davanti a Dio” (1 Pietro 2:19,20 NR). Così pure l'apostolo Paolo: "...ingiuriati, benediciamo; perseguitati, sopportiamo; diffamati, esortiamo (...) sopportiamo ogni cosa, per non creare alcun ostacolo al vangelo di Cristo (...) L'amore: “soffre ogni cosa, crede ogni cosa, spera ogni cosa, sopporta ogni cosa” (1 Co. 4:12; 9:12; 13:7 NR).

Folle intere di persone, dunque, seguono Gesù. Per essere, però veramente “dei Suoi” devono essergli totalmente consacrati senza compromesso. È questo il senso delle parabole che Egli aggiunge alle Sue parole qui dopo, dove Egli mette in guardia che chi Lo segue deve essere impegnato a costruire qualcosa di cui deve calcolarne se ha “i fondi” necessari per farlo, come pure combattere una battaglia per la quale deve verificare di avere “le risorse” necessarie per vincerla.

Costruire

“Chi di voi infatti, volendo edificare una torre, non si siede prima a calcolarne il costo, per

vedere se ha abbastanza per portarla a termine? Che talora, avendo posto il fondamento e non potendola finire, tutti coloro che la vedono non comincino a beffarsi di lui, dicendo: "Quest'uomo ha cominciato a costruire e non è stato capace di terminare" (28-30).

Seguire Cristo ha un costo di cui bisogna bene tenere conto, prima di intraprendere questa strada. E' bene rendersene conto subito per non avere poi “sorprese” che ci potrebbero far rinunciare e tornare indietro a nostra vergogna. Vi sono predicatori ed evangelisti cristiani che “semplificano” il messaggio per potere attirare molti nuovi convertiti, e che hanno paura di presentare un'immagine del discepolato cristiano che li scoraggi e li faccia rinunciare. Vi sono chiese che hanno il terrore di perdere i loro membri e le loro entrate. Per questo sono pronti a presentare della fede cristiana un'immagine facile, non impegnativa, compiacente, dove si giustifica ogni compromesso. Sono risentiti e si oppongono a viva voce quando altri predicatori (che vogliono essere fedeli all'Evangelo biblico) presentano della fede un'immagine impegnativa, un modo “radicale” e “impopolare” di essere cristiani.

Preferiscono, così, le “entrate” (di denaro) alle “uscite” di membri che preferiscono un cristianesimo di comodo. La fede cristiana implica un'impegnativa opera di “costruzione”, sul fondamento di Cristo, di un carattere personale ed uno stile di vita sociale che “costa” ad ogni livello. Non è, però, solo “costruire”, ma anche “combattere”.

Combattere

Gesù dice: “Ovvero quale re, andando a far guerra contro un altro re, non si siede prima a determinare se può con diecimila affrontare colui che gli viene contro con ventimila? Se no, mentre quello è ancora lontano, gli manda un'ambasciata per trattar la pace” (31,32). La vita cristiana è pure una lotta, spesso ardua, contro il peccato, per la quale deve dotarsi diligentemente di tutte le risorse necessarie per intraprenderla con successo.

Intraprendere la vita cristiana in modo superficiale può voler dire, prima o poi, essere sopraffatti dalle forze avversarie. Per evitare di essere sopraffatti dal mondo, allora, spesso accade che un cristiano, o persino un'intera chiesa, faccia accordi e compromessi con il mondo, annacquando e vanificando l'Evangelo di Cristo, “adattandolo” al mondo, per renderglielo “più palatabile”. Sì, un cristiano o una chiesa, indisposta alla radicalità dell'Evangelo, per “sopravvivere”spesso si adatta e conforma all'andazzo di questo mondo!

Può, però, continuare a considerarsi tale secondo i criteri di Gesù Cristo? Una chiesa compromessa con il mondo può avere la reputazione di vivere, ma è spiritualmente morta:“Io conosco le tue opere; tu hai la reputazione di vivere, ma sei morto” (Apocalisse 3:1). Un cristiano o una chiesa che faccia “comodi compromessi” con il mondo può avere solo l'apparenza della fede, ma ne ha rinnegato la potenza: “...aventi l'apparenza della pietà, ma avendone rinnegato la potenza” (2 Ti. 3:5). Una chiesa compromessa con il mondo diventa decisamente “insipida”: “Il sale è buono, ma se il sale diviene insipido, con che cosa gli darete sapore? Abbiate del sale in voi stessi e state in pace gli uni con gli altri»” (Marco 9:50).

Rinunciare

Ecco così l'espressione finale, riassuntiva, di ciò che dice Gesù in questo testo: “Così dunque, ognuno di voi che non rinunzia a tutto ciò che ha, non può essere mio discepolo" (33). Secondo le parole stesse di Gesù, non ha titolo alcuno di portare il nome di cristiano, di essere discepolo di Gesù, chi non rinuncia alle sicurezze ed alla “convenienze” di questo mondo.

Tutto questo, indubbiamente ci mette in crisi, mette anche me stesso in crisi rendendo persino imbarazzante predicare testi di questo tenore! Testi così sarebbe più comodo ignorarli... “Meglio usare un altro testo biblico per questa domenica”, qualcuno potrebbe suggerire...

No, ci dobbiamo mettere onestamente a confronto con la Parola di Cristo perché è davvero una spada tagliente, affilata. È giusto che essa ci metta in crisi e ci conduca a verificare la verità della nostra professione di fede. Di fronte al giudizio finale di Dio non saranno le nostre opinioni su che cos'è il cristianesimo a contare, ma quanto oggettivamente stabilito dal Maestro, dal Signore Gesù Cristo.

Crisi significa “scelta”. Dobbiamo scegliere ed anche essere pronti a rinunciare alla nostra professione di fede se vediamo che, in realtà, non ci sia comoda. Però: “Che giova … all'uomo guadagnare tutto il mondo, se poi rovina se stesso e va in perdizione?” (Luca 9:25).

Anche le chiese devono essere pronte a lasciare eventualmente che masse intere diano le dimissioni dalla chiesa se non sono disposte ad accettare le condizioni poste sovranamente da Gesù. Abbiamo paura di perdere il necessario sostegno finanziario? Qual è però il prezzo da pagare per non farlo: il compromesso, annacquare l'Evangelo, e alla fin fine l'apostasia.

Se sono solo i soldi ciò a cui pensiamo, vale ciò che disse una volta l'apostolo Pietro ad uno (che non aveva paura di “perdere alla chiesa”: “Vada il tuo denaro in perdizione con te, perché tu hai pensato di poter acquistare il dono di Dio col denaro” (Atti 8:20).

Paolo Castellina, 11 giugno 2007